I morti è il racconto più famoso della raccolta Gente di Dublino scritta da James Joyce.
Si tratta del racconto più lungo dell'intera opera, che la conclude e allo stesso tempo la riassume, riproponendo tra le sue righe tutti i temi già presentati dall'autore. Il titolo e il costante riferimento alla morte e ai morti non è casuale. La raccolta Gente di Dublino è fatta di racconti che possono essere divisi in quattro gruppi: infanzia, adolescenza, maturità e vita pubblica. I morti potrebbe far tranquillamente parte del quarto gruppo, ma in realtà è un epilogo, l'atto conclusivo dell'esistenza umana.
Come in tutti i racconti della raccolta, I morti ha come tema centrale la paralisi culturale e umana. Joyce ci descrive la grande festa tenuta a casa delle zie del protagonista, Gabriel Conroy, in una notte d'inverno. A questa festa sono presenti diverse generazioni, si va infatti dalle anziane zie alle giovani allieve, diverse appartenenze religiose e diverse idee politiche. Nonostante la grande diversità ideologica degli invitati, non si arriva mai né a un vero confronto, né a uno scontro, le discussioni politiche e religiose vengono infatti troncate non appena iniziano a generare attriti, per il resto si canta e si balla. Gabriel è il centro della festa, addirittura tiene il discorso di ringraziamento a tavola prima della cena, la lascia quindi soddisfatto di sé, sentendosi una persona realizzata e felice. Nel tragitto verso la camera d'albergo, ripensa ai momenti belli della sua storia d'amore con la moglie, con cui conta di fare l'amore non appena arrivato. In camera però accade l'imprevisto. Gretta, sua moglie, piange al ricordo di un suo vecchio spasimante, il giovanissimo Michael Furey, che per lei si ammalò e morì. Questa rivelazione rivela a Gabriel di essere solo un'ombra nella vita della moglie, non il vero amore, e di colpo realizza quanto sia vuota la sua intera esistenza. Da questa nuova consapevolezza nasce la riflessione finale del protagonista, che si rende conto di come tutte le persone che ha visto alla festa, che sembravano così felici o così realizzate, stiano in realtà percorrendo un inesorabile viaggio "verso occidente", cioè verso la morte.
Ne I morti, come ho già detto sopra, il tema centrale è la paralisi. In tutto il racconto nessuno fa niente, non ci sono conflitti e quelli sul punto di nascere vengono subito bloccati. Gabriel torna in albergo con brame amorose che vengono spente dalla rivelazione di Gretta. Tutto è immobile e vuoto, anche la felicità del protagonista e la sua solidità si rivelano di fatto apparenti, non è un personaggio centrale nemmeno nella vita della moglie.
Un ruolo fondamentale nelle opere di Joyce è quello dell'epifania, una rivelazione improvvisa che nasce in una persona a causa di un evento apparentemente banale e che in lei fa esplodere una nuova consapevolezza riguardo la propria esistenza. In questo racconto di epifanie ce ne sono due: la prima la vive Gretta, che vede riaffiorare nella sua mente il ricordo di Michael Furey a causa di una canzone sentita alla festa, e ricorda così colui che fu il suo vero amore; la seconda è di Gabriel, che capisce di essere solo un'ombra nell'esistenza della moglie quando questa gli racconta della storia mi Michael, arrivando poi a comprendere la vuotezza della propria e delle altrui esistenze.
In questo racconto si mescolano di continuo il mondo dei vivi e quello dei morti. Gabriel ha come antagonista principale Michael, che è morto molti anni prima, e a causa di questo vede sgretolarsi il suo mondo di false certezze.
La scena finale del racconto parla della neve che cade indifferentemente sui vivi e sui morti. Molti in questa immagine hanno visto una sorta di redenzione, una via di fuga dalla paralisi in cui l'essere umano è invischiato. A me dà invece un'idea di inesorabilità, essa infatti cade incessantemente, senza curarsi della condizione di chi sta coprendo sotto la propria coltre. Inoltre Gabriel percepisce questa neve mentre "sprofonda" nel suo letto, cioè mentre si sta seppellendo nella propria mediocre normalità dopo averne preso consapevolezza. Più che una speranza, in queste immagini io vedo molta rassegnazione.
Francesco Abate
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